“Dicono che adesso c’è crisi, povertà, miseria, ma non è niente; io so che cosa è la miseria vera, io l’ho vista, io l’ho vissuta”.
Con queste parole iniziava l’intervista di Antonio Passerini a Abbondanza Piccinni, allora 88enne, pubblicata sul giornalino del CUFRILL nel dicembre 2015. “Bunnanzia” arriva a Frigole da Montesano Salentino nel 1947, subito dopo la guerra, sposa di Gregorio (“Cocu”) Carrozzo.
Gregorio ha percorso parecchie volte in bicicletta i 58 km che separano Frigole dal suo paese, finché una volta sulla bicicletta sono venuti in due: una romantica “fuitina” sulle due ruote. Bunnanzia ha raccontato questa avventura col sorriso, come è sua abitudine.
Abitano al podere 57 (che con la Riforma Agraria del ‘52 diventa il n.220) sulla strada che da Frigole porta a Borgo Piave, assegnato al suocero Vincenzo e alla moglie Felicetta Rizzo. Quest’ultima ha fatto nascere allora a Frigole tantissimi bambini; pur non avendo diplomi è stata l’ostetrica ufficiosa del borgo.
L’impatto di Bunnanzia con la nuova realtà è duro, come per tante altre donne trapiantate a Frigole dal paese in cui erano nate, dove avevano i parenti e gli amici di famiglia. Racconta nell’intervista: “Mi vedevo isolata, come in un deserto, senza luce, senza strade se non quelle di campagna segnate dalle ruote ‘te lu trainu’…. La sera, quando si faceva buio, e dovevo salire di sopra dove avevamo la stanza da letto, io avevo paura. E piangevo, piangevo, ma non dovevo farmi sentire, perché mio marito sarebbe andato su tutte le furie”. Bunnanzia è stata molto esplicita nell’intervista, raccontando la completa sottomissione delle mogli al marito-padrone, che decideva qualunque cosa della famiglia. “Oggi se un uomo dà uno schiaffo alla sua donna, lei può lasciarlo e andarsene. Allora non lo potevi fare, non potevi neppure immaginare una cosa del genere. Non avevi alternative…. Erano gli stessi tuoi familiari a mettersi contro di te”.
Bunnanzia lavorava in campagna dall’alba al tramonto e poi le toccavano i lavori di casa. C’era da pascolare le pecore, foraggiare le mucche, zappare e tagliare con la falce, un susseguirsi ininterrotto di giornate di fatica. I Carrozzo, oltre al loro podere, avevano preso a mezzadria anche terreni della masseria Basciucco, perciò il lavoro era sempre tanto. Il marito però prendeva ogni tanto una pausa. Aveva acquistato nei primi anni sessanta un’automobile (tra i primi a Frigole) e a volte si assentava per accompagnare qualcuno in città o all’ospedale o al suo paese d’origine. Per questo Gregorio, ‘Cocu’, godeva di grande considerazione a Frigole, dove era diventato un personaggio. Bunnanzia sapeva destreggiarsi anche nel rammendo e nel cucito, come tante donne in quel periodo, e confezionava spesso abiti e biancheria per sé e per la famiglia. Per il suo matrimonio, celebrato a Lecce alla chiesa di San Francesco da Paola, (la parrocchia a cui apparteneva Frigole) si era confezionato il cappotto da una coperta militare, ma all’uscita dalla chiesa non lo aveva più trovato sulla carrozza dove l’aveva lasciato prima di entrare in chiesa. “Rimasi così senza cappotto e senza coperta”. Sorride Bunnanzia raccontando, dopo 70 anni, la storia. E ne ha raccontato poi un’altra, sulla durezza del fattore che controllava la produzione, che non le consentiva nemmeno di raccogliere senza il suo permesso poche fave dal campo che lei coltivava.
Per fortuna la nascita dei figli le rasserenava la vita. Abbondanza infatti lo fu per davvero per quanto riguarda le nascite: Severina, Rosalba, Antonio, Bianca, Alberto, Giuseppina. Sei figli e poi tanti nipoti. Non ha dimenticato le amarezze del passato ma il tempo le ha sedimentate e rese innocue.