Mamma li Turchi: Le Masserie del Salento tra incursioni e trasformazioni storiche

1714, è giugno. Alla masseria la giornata inizia presto, i contadini si preparano ad andare nei campi quando ancora è buio.

All'improvviso un trambusto inatteso, grida, rumori confusi. I pirati hanno assalito la masseria, sono sbarcati col buio per approfittare della sorpresa e non trovare resistenza. I portoni sono già aperti, non c'è difesa, non c'è un ponte levatoio da ritirare in fretta.

La Lamia non è una masseria fortificata, ma un placido edificio rivolto verso il mare con un grande cortile dove vivono e lavorano nel periodo primaverile quasi quaranta persone. Nessuno resiste, non ci sono armi e armigeri, soltanto il fattore e contadini indifesi. Vengono fatti tutti prigionieri e trasportati sulla nave per essere venduti come schiavi sui mercati del mediterraneo. Le fornite di grano, il vino, i legumi, frutto dei recenti raccolti, vengono ammassati sul caicco. I pochi oggetti di valore sono portati via.

I pirati si dirigono poi verso Acaya, perché pensano di assaltare il castello contando sulla sorpresa, ma restano delusi. Ad Acaya sono stati avvertiti da un contadino che era andato più presto nel campo e aveva guardato da lontano la scena della razzia. Il portone qui è chiuso, il ponte levatoio alzato, i contadini si sono già tutti rifugiati nel castello che non può essere preso per le sue alte mura.

Li Turchi si accontentano e vanno via.

Un attacco pirata, quello del 1714, che seppur violento, non segnò la fine della masseria Lamia. La masseria fu presto ripopolata e tornò a svolgere la sua funzione di centro produttivo. Tuttavia, le vicende di questa masseria riflettono un destino comune a molte altre strutture simili che, nel corso dei secoli, hanno subito profonde trasformazioni, lasciando segni stratificati, testimonianze di epoche diverse e di varie culture. Ogni traccia del passato si collega a un complesso intreccio di fenomeni: dalle influenze culturali e politiche, alle caratteristiche geografiche, alle necessità economiche e religiose, fino all'organizzazione delle attività produttive.

La pianura salentina, grazie alla sua conformazione, si è rivelata facilmente adattabile ai vari modelli di governo e organizzazione territoriale, conservando fino ad oggi molte di queste testimonianze. Le masserie, simbolo del modello agricolo salentino, rappresentano il risultato di secoli di evoluzione.

La loro origine potrebbe essere ricondotta alla colonizzazione romana, che introdusse la centuriazione e strutturò la pianura in una serie di piccoli appezzamenti. Con l’avvento del monachesimo italo-greco dopo la caduta dell'Impero Romano, le comunità monastiche basiliane diventarono punti di riferimento per la riorganizzazione agricola, come isole di attività e ordine in un periodo di incertezza. Su queste basi, prese forma il modello salentino, fatto di piccoli nuclei abitativi distribuiti a breve distanza l’uno dall’altro, rafforzato poi durante la dominazione dei Normanni e degli Svevi, che pur centralizzando il potere, mantennero questa struttura policentrica.

Le masserie salentine, le quali prendono il nome dalle “masserizie” (oggetti per la casa, mobili, attrezzi vari, magazzini di alimenti per uso umano ed animale), erano strutture multifunzionali che ospitavano sia le abitazioni per diverse classi di abitanti (padroni, contadini, pastori) sia spazi per animali e attività agricole. Ogni masseria era ben integrata nell'ambiente circostante, con un'architettura adattata alla zona, alle esigenze difensive e ai tipi di coltivazioni praticate.

In genere, le masserie nel Salento erano di piccole dimensioni, con strutture essenziali per la vita contadina, a differenza delle grandi masserie presenti in altre aree del Sud Italia. Le corti erano elementi fondamentali, spesso delimitate da muri in pietra secca. Gli spazi erano organizzati in modo funzionale, con pozzi, cisterne per l'acqua, magazzini, stalle, forni e, in alcuni casi, cappelle o mulini aperti anche agli estranei.

A seguito delle continue incursioni piratesche che seguirono la caduta di Costantinopoli, le masserie salentine, un tempo semplici fattorie, si trasformarono in complesse strutture difensive. Carlo V, preoccupato per la sicurezza del territorio, ordinò la costruzione di torri di avvistamento e di mura robuste intorno a questi edifici. La torre, oltre a servire come punto di osservazione, era spesso l'abitazione del proprietario. Al piano inferiore si svolgevano le attività produttive: la trasformazione del latte, la molitura delle olive e la conservazione dei prodotti agricoli. Le masserie assunsero così una forma fortificata per proteggere le persone e le risorse, diventando centri di produzione sicuri e autosufficienti.

Tra il XVI e il XVII secolo, l'arrivo dei Borboni nel sud Italia ne segnò un'ulteriore trasformazione. Essi espropriarono i feudi ecclesiastici, affidando i latifondi alla borghesia rurale. Le masserie si strutturarono come complessi di edifici rustici e terreni gestiti da un massaro, il quale coordinava il lavoro dei contadini per conto dei proprietari.

Dalla metà del XVII secolo, queste strutture assumono un ruolo sempre più centrale nella vita rurale, svolgendo molteplici funzioni: centri agricoli, depositi, aziende, presidi militari e, in periodi di crisi sanitaria, anche luoghi di assistenza. Questa multifunzionalità si riflette nell'architettura, che si fece sempre più complessa e ricca di elementi decorativi, culminando nella nascita delle masserie-villa, vere e proprie dimore signorili.

Le masserie cominciarono il proprio declino con la legge eversiva della feudalità del 1806, voluta da Giuseppe Bonaparte, re di Napoli. A questo si aggiunse, nel 1866, l'esproprio dei beni ecclesiastici da parte del governo italiano, che portò alla frammentazione delle grandi proprietà feudali o ecclesiastiche. Successivamente, la divisione ereditaria, che non seguiva più il principio del maggiorascato, contribuì ulteriormente alla decadenza di queste strutture. Oltre agli impatti delle leggi, il progresso agricolo trasformò gradualmente la coltivazione estensiva, prevalentemente cerealicola e pastorale, in una coltura intensiva, sia arborea sia erbacea. Originariamente, la produzione delle masserie salentine era di tipo cerealicolo, affiancata dalla pastorizia, con l'allevamento principalmente di ovini, seguito da bovini ed equini. Alla masseria poteva essere annessi oliveti e, talvolta, boschi, e il bestiame veniva alimentato quasi esclusivamente dai pascoli naturali.

Nel XX secolo, dopo le guerre mondiali, le condizioni dei contadini peggiorarono, portando alla necessità di una Riforma Agraria che, frazionando e ridistribuendo i latifondi, cambiò profondamente la vita delle masserie: molte furono abbandonate o destinate a usi diversi, perdendo così il loro ruolo aggregante e il carattere originario.

Questi mutamenti segnano il declino di un patrimonio culturale che, spesso trascurato, è andato lentamente perdendosi, senza che venisse pienamente compresa la ricchezza che si stava lasciando svanire. Fortunatamente, alcune masserie hanno resistito allo scorrere del tempo e alle trasformazioni sociali, testimoniando ancora oggi i sacrifici, il lavoro e le passioni dei contadini di un'epoca non così lontana.

Scavi Giammatteo

Le tre grandi bonifiche, più una, del territorio di Frigole

Ora fissiamo tre periodi: 1870-1888, 1904-1913, 1931-1936. Lì dentro sono collocate tre grandi bonificazioni: la prima di Federico Libertini, bonifica privata, le altre due finanziate dallo Stato. Dunque il volto del territorio e, con esso, la sua storia, incominciarono a cambiare con Libertini (1870-1888), ebbero poi una notevole modifica all'inizio del Novecento (1904-1913), ma soprattutto furono “rivoluzionati” dagli interventi degli anni Trenta (1931-1936) con l'Opera Combattenti.

E il “più una” del titolo? Fu una bonifica particolare degli anni 1907-1912 operata dai “Fondi Rustici”, società proprietaria del circondario di Frigole guidata allora da Antonio Sansone. Consistette nel costruire all'interno di limitate paludi e acquitrini i cosiddetti “pozzi assorbenti”: erano larghi fori nel terreno in corrispondenza di doline naturali, dotati di idonea muratura, profondi fino a superare lo strato di terreno impermeabile, in modo che l'acqua potesse scendere ed essere smaltita e il terreno in superficie potesse essere coltivato. Ne furono costruiti una cinquantina e l' “invenzione” funzionò quasi sempre.

Libertini spese ingenti capitali per acquistare macchinari agricoli, assoldare mano d'opera esperta, rendere fertili le campagne, costruire canali per far defluire in mare l'acqua delle paludi. Economicamente fallì, ma la sua visione di bonifica fu ammirata e portata avanti. Di quel periodo restano la conformazione attuale della masseria Frigole, simile a una palazzina, e i cosiddetti “quadri” di terreno circondati da ulivi.

Alla grande bonifica di inizio Novecento furono dedicati progetti, personale, anni di lavoro. L'emblema di quel complesso intervento è la ciminiera che svetta ancora sopra l'impianto idroforo accanto al mare.

Ma il lavoro più lungo e impegnativo fu la realizzazione della rete di 27 km di canali, in gran parte sotto il livello del mare. Appunto questi ultimi portavano l'acqua da smaltire in mare all'impianto idroforo, che fu collegato anche con il vasto lago-stagno dell'Aquatina (allaccio che però creò problemi e che negli anni Venti fu accantonato). ù

Nel 1920 divenne proprietaria del territorio l'Opera Combattenti, diretta da Antonio Sansone, che diede vita ad un grandioso programma di interventi, in ogni settore. Sede operativa era Frigole, con nuovi, lunghi caseggiati col solo piano terra ed alcuni altri (stalle, magazzini...), che ancor oggi costituiscono il centro del paese; fu costruito in mezzo alla campagna Borgo Piave e via via negli anni Borgo Grappa e i “poderi” sparsi. Furono operate enormi bonifiche, tra cui il nuovo lago-bacino dell'Aquatina. Case coloniche e terra furono assegnati ad ex-combattenti... Per Frigole e il suo territorio con il 1920 ebbe inizio una nuova identità.

Matrima chiangia… e chiangia, ogni notte chiangia

Nel 2013 Maria Vita Saracino ha narrato la sua storia dalle colonne del giornalino del CUFRILL (Voci da Frigole e dal Litorale).

La famiglia Saracino era originaria di Borgagne ma viveva in precedenza a Martano. Maria Vita non aveva potuto andare a scuola perché il padre Giovanni non lo aveva permesso “Tu devi aiutare la mamma che non sta bene”. Allora anche i bambini dovevano lavorare e aiutare così la famiglia, perché c'era poco da mangiare e tutte le braccia, anche le più esili, dovevano contribuire a racimolare il necessario per tirare avanti.

Maria Vita ricorda nel suo racconto che quel primo inverno del 1939 a Frigole fu terribile. Il podere 33 è il più vicino al mare, a pochi passi dalle Idrofore, e in quell'anno il vento e le tempeste del mare danno gli incubi alla mamma Paola, che vede “i cavallini arrivare fino al cielo “ e ha paura che li sommerga tutti. La famiglia Saracino, ha però deciso di resistere alle difficoltà e alle paure, ma la sorte è stata avversa e nel 1941 il papà Giovanni muore di polmonite, lasciando la moglie e sei figli. “Per noi fu il deserto - ha raccontato Maria Vita - Rimanemmo sole come cani, anche perché mio fratello Luigi era prigioniero in Albania. Ritornerà a casa dopo due anni e mezzo, con la barba ei capelli incolti ……. irriconoscibile. ….. La mamma era distrutta e non la lasciavo mai sola. A volte era presa dallo sconforto e voleva buttarsi a mare.

Ancora Maria Vita ha raccontato: “Io in casa ero rimasta la più grande e lavoravo lavoravo… non ti voglio raccontare quanto era dura la mia vita, sempre fucendu estate e inverno”. Nel 1948 Maria Vita sposa Pantaleo Gaetani, di Calimera, persona forte e gioviale e comincia una nuova vita, nascono i figli Giovanna, Antonietta e Michele finché nel '56 l'Ente Riforma, subentrato all'Opera Nazionale Combattenti, assegna alla famiglia Gaetani il podere su via Giuseppe Della Vedova. La vita migliora, si vive felici finalmente, sempre lavorando ma senza più le ristrettezze di un tempo.

Maria Vita ha vissuto in quella casa oltre i 90 anni, circondata dall'affetto dei suoi cari. Le bonifiche fi Frigole hanno portato prosperità ma al prezzo di grandi sacrifici e hanno richiesto una forte ostinazione. Maria Vita Saracino e la sua famiglia hanno saputo sopportare la sofferenza e vincere la loro battaglia.

Dolci tentazioni: Bomboloni alla crema di patate zuccherine

Cerchi un dolce fatto in casa che stupisca i tuoi ospiti? I bomboloni alla crema di patate zuccherine sono la risposta perfetta! Questa ricetta, un connubio tra tradizione e innovazione, ti permetterà di preparare dei soffici e golosi bomboloni con un cuore cremoso e delicato. La dolcezza della patata zuccherina si sposa alla perfezione con la freschezza del limone, creando un'esplosione di gusto ad ogni morso.

Ingredienti

Per la crema:

- 120 gr di patata zuccherina già lessa;

- 500 ml di latte;

- 30 gr di farina di frumento;

- 2 uova;

- buccia grattugiata di un limone.

Per l'impasto:

- 320 gr di patate zuccherine già lessate;

- 500 gr di farina;

- 2 uova;

- 50 gr di burro;

- 25 gr di lievito fresco o 7 gr di lievito disidratato;

- 40 gr di zucchero;

- 50 gr di latte;

- buccia grattugiata di un limone o di un'arancia grattugiata.

Preparazione

Preparare l'impasto: In una ciotola, unisci tutte le patate zuccherine lessate e schiacciate, la farina, le uova, il burro, il lievito, lo zucchero, il latte e la scorza grattugiata. Impasta fino ad ottenere un composto liscio e omogeneo. Lasciare lievitare in un luogo caldo e coperto per circa 3 ore, fino al raddoppio del volume.

Prepara la crema: In una pentola, versa il latte già caldo, la farina, le uova, la patata zuccherina schiacciata e la scorza di limone. Mescola bene con una frusta per evitare grumi. Cuoci a fuoco dolce fino a bollore, mescolando continuamente, fino a ottenere una crema densa e vellutata. Lasciare raffreddare completamente.

Assembla i bomboloni: Stendi l'impasto lievitato con un mattarello e taglia dei dischi di circa 8-10 cm di diametro. Metti un cucchiaio di crema al centro di ogni disco. Chiudi con un altro dischetto formando le palline, facendo attenzione a saldare bene i bordi.

Friggi i bomboloni: Friggi i bomboloni in abbondante olio caldo fino a doratura. Scolali su carta assorbente e passali nello zucchero semolato.

Questi soffici bomboloni alla crema di patate zuccherine sono il dolce perfetto per ogni occasione. La loro preparazione richiede un po' di tempo, ma il risultato finale ripagherà ogni sforzo. Prova questa ricetta e lasciati conquistare dal loro sapore unico!

Federico Libertini: il pioniere delle bonifiche a Frigole

Federico Libertini fu lo straordinario personaggio che diede inizio alla storia moderna di Frigole.

Nato a Lecce nel 1825, vi morì nel 1903. Avvocato, figlio di Domenico sindaco della città dal 1821 al 1823 e cugino del famoso Giuseppe amico di Mazzini e Garibaldi, a oltre quarant'anni di età lasciò codici e tribunali per dedicarsi anima e corpo alla trasformazione delle masserie Frigole, Lamia, Casa di Simini. Spirito innovatore in un mondo agricolo legato per lo più a idee e metodi vecchi e inefficienti, investì ingenti capitali nell'assoldare tecnici e operai di tutta Italia, nell'acquistare macchinario di ultimo grido, nel rinnovare gli edifici, nel dissodare terre improduttive, nel prosciugare paludi costruendo una rete di canali, nello sperimentare coltivazioni nuove (ancor oggi presso Frigole fanno bella mostra di sé i cosiddetti “quadri”, vasti rettangoli di terreno circondato da ulivi che Libertini aveva destinato alla coltivazione della vite)...

L'attività particolarmente su tutti i fronti fu intensa nel decennio 1870-1880. Ma non tutto andò per il verso desiderato e poco dopo il 1890 il “sogno” di Libertini, come si scrisse alla sua morte, svanì a causa degli ingenti debiti che s'erano accumulati presso la Banca d'Italia. Visse nel silenzio e in totale povertà l'ultima parte della sua vita a Lecce, presso una cognata.

Ma se la sua persona fu messa in disparte e quasi dimenticata, la sua opera innovatrice, anche nella lotta alle zanzare portatrici dell'infestante malaria, ebbe invece risonanza nazionale, tanto che vennero in visita a Frigole le più alte personalità del Governo di Roma, sia del settore agricolo sia del settore sanitario, che ammirarono il “modello” realizzato da Libertini e inserirono tutto il territorio nella grandiosa bonifica nazionale del primo decennio del 1900.

Nell'ottobre del 2023 fu intitolato a Federico Libertini il Centro sociale di Frigole con l'apposizione di una targa presso l'ingresso. Sulla valorizzazione della figura del lungimirante e sfortunato bonificatore, determinanti sono risultati le ricerche, gli scritti e le conferenze del prof. Franco Antonio Mastrolia.

La Posidonia spiaggiata: un problema da risolvere o una risorsa da valorizzare?

Chi frequenta le spiagge di Frigole avrà sicuramente notato quei grandi accumuli di materiale vegetale, spesso scambiati per semplici alghe, che si depositano lungo la battigia. Si tratta di Posidonia oceanica, una pianta marina fondamentale per l'ecosistema del Mediterraneo. Ma perché questi depositi vegetali, spesso rimossi dalle spiagge, sono così importanti? E perché dovremmo riconsiderare il nostro rapporto con essi?

Dietro l'apparente semplicità di un'alga si cela la complessità di una pianta superiore che, con le sue radici, le sue foglie e i suoi fiori, crea rigogliose praterie sottomarine, le quali agiscono come veri e propri polmoni blu. Esse producono una grande quantità di ossigeno, migliorano la qualità dell'acqua e mitigano gli effetti dei cambiamenti climatici. Inoltre, offrono cibo e rifugio a un'infinità di specie marine, dalle piccole creature planctoniche fino a pesci di interesse commerciale.

Ma veniamo al problema: i posidonieti producono grandi quantità di biomassa, e questo materiale organico, costituito principalmente da foglie e rizomi, viene progressivamente depositato sulle spiagge, formando le caratteristiche “banquettes”. Ma è giusto ritenere tali depositi strutturati e permanenti di foglie di posidonia spiaggiata un problema? Questi accumuli di materiale vegetale attenuano la forza delle onde e trattengono la sabbia, contribuendo a consolidare i litorali sabbiosi. I residui fibrosi di foglie e rizomi, inoltre, oltre a stabilizzare i fondali marini, vengono trasportati dalle correnti e si aggregano formando le caratteristiche egagropili, vere e proprie sfere organiche note anche come "polpette di mare" o "patate di mare". Queste strutture, dal nome evocativo che richiama i peli aggrovigliati di una capra selvatica (dal greco αἴγαγρος, "capra selvatica", e πῖλος, "peli ammassati"), svolgono un ruolo ecologico fondamentale: accumulando materia organica e ospitando una ricca comunità di piccoli invertebrati come isopodi, anfipodi e policheti, contribuiscono alla fertilità dei litorali e alla biodiversità marina.

Le praterie di Posidonia si sviluppano preferibilmente su fondali sabbiosi e poco profondi, dove radici, rizomi e foglie si intrecciano formando delle vere e proprie “matte” che possono raggiungere diversi metri di spessore. Nel corso dei secoli, questi accumuli di materiale organico danno origine a estese barriere sommerse, parallele alla costa, che offrono una protezione naturale contro l'erosione marina. La Posidonia oceanica è una pianta longeva: in assenza di disturbi antropici, le praterie possono raggiungere età millenarie. La loro crescita lenta e costante, unita alla loro capacità di consolidare i sedimenti, fa delle praterie di Posidonia un elemento chiave per la protezione e la conservazione dei nostri litorali.

Tuttavia, la Posidonia viene spesso percepita come un fastidio dai bagnanti e rimossa dalle spiagge per motivi prevalentemente estetici. Questa pratica, però, ha conseguenze negative sull'ecosistema costiero, accelerando l'erosione e impoverendo la biodiversità. Per questo motivo è fondamentale comprendere che la presenza di Posidonia sulle spiagge non è un problema, ma rappresenta una risorsa. Le banquettes, infatti, creano un ambiente naturale e dinamico, offrendo riparo a molte specie e contribuendo anche alla bellezza del paesaggio costiero.

La Posidonia non è solo un bene ambientale, ma anche una risorsa economica. Con il loro contributo nella protezione delle coste, le praterie di Posidonia evitano costosi interventi di ripascimento. Si stima che gran parte dei litorali sabbiosi del bacino mediterraneo sia in erosione, cioè con molti chilometri di spiagge in arretramento che minacciano beni, strutture e risorse naturali. Secondo la Fondazione ambientalista Marevivo, i costi di ricostruzione delle spiagge mediante ripascimento raggiungono cifre elevate, oscillando tra i 1.600 e i 2.100 euro per metro lineare di fronte spiaggia. Tuttavia, questo intervento rappresenta solo una soluzione temporanea e costosa, che non affronta le cause profonde dell'erosione costiera. Altri studi citati dalla stessa Organizzazione mostrano come in un'area turistica, ogni metro quadrato di spiaggia generi una resa economica annua compresa tra i 1.000 e i 4.000 euro. La scomparsa di un metro di spessore della prateria di Posidonia, quindi, corrisponde ad un arretramento di circa 20 metri di spiaggia, con un danno economico stimato tra i 20.000 e gli 80.000 euro annui. È evidente che la perdita delle praterie di Posidonia comporti un impatto economico devastante sulle attività turistiche e sulla valorizzazione del territorio. Al contrario, il restauro di un metro quadrato di prateria, pur richiedendo un investimento iniziale di circa 800-1.000 euro, garantisce a lungo termine un ritorno economico e ambientale significativamente superiore.

La Posidonia oceanica è riconosciuta a livello europeo e internazionale come specie protetta. Tuttavia, per garantire la sua sopravvivenza, è necessario intensificare gli sforzi di tutela. Ciò implica una maggiore consapevolezza pubblica, pratiche di gestione costiera più rispettose, un rafforzamento del quadro normativo e un maggiore coinvolgimento dei cittadini nelle attività di conservazione. La condizione attuale delle praterie di Posidonia è allarmante: stanno diminuendo o sono addirittura scomparse in molte zone della costa italiana, dove un tempo erano diffuse. Questo declino è causato principalmente da attività umane come la pesca a strascico, che può rimuovere e distruggere ampie aree di prateria; il raschiamento delle ancore delle barche da diporto; la cementificazione delle coste, inclusa la costruzione di strade, porti, opere di consolidamento e l'estrazione di sabbia; e l'inquinamento da sostanze chimiche scaricate in mare. Un impatto significativo è anche dovuto al cambiamento climatico, che sta alterando in modo rilevante le correnti atmosferiche e marine, oltre a modificare le condizioni di temperatura, salinità e composizione del mare in cui vive la Posidonia. Inoltre, tra le cause indirette della riduzione delle praterie sottomarine, è rilevante anche la presenza di specie antagoniste, come la Caulerpa taxifolia, e di molti organismi invasivi o alieni, provenienti da altri ambienti marini per varie ragioni. A peggiorare ulteriormente questa situazione, la classificazione della Posidonia spiaggiata come rifiuto ha portato nel tempo a pratiche di gestione spesso dannose per l'ambiente, come la sua rimozione dalle spiagge, impedendo così il naturale ciclo di erosione e deposizione dei sedimenti che contribuisce alla formazione delle dune e alla protezione della costa. Tuttavia, la normativa nazionale e internazionale si sta adeguando, riconoscendo oggi il ruolo fondamentale di questa pianta marina nella conservazione del litorale Il mantenimento delle banquette in loco è la pratica più sostenibile, ma altre soluzioni, come indicato dalle linee guida ministeriali, possono essere adottate a seconda delle specifiche condizioni del paesaggio costiero. Le banquette di Posidonia sono un segno distintivo di Frigole, un'espressione della sua autenticità.

È tempo di ridefinire il nostro concetto di spiaggia ideale, scegliendo luoghi come questo, dove la natura selvaggia, rappresentata dalle praterie di Posidonia, incontra la mano dell'uomo. Proteggere questo ecosistema prezioso è necessario per garantire un futuro sostenibile al nostro litorale.

LE IDROFORE DI FRIGOLE

“Un alto ed elegante camino sul litorale di Frigole è il testimone di uno straordinario evento, accaduto agli inizi del Novecento, con il quale Frigole entra in un altro capitolo fondamentale della storia del Sud Italia: la bonifica delle paludi da parte dello Stato.” (A. Passerini “ Una comunità dalle molte radici. ” Ristampa del 2017 a cura dell'Ecomuseo delle Bonifiche di Frigole).

In realtà nel progetto definitivo del 1903, finanziato dallo Stato, erano previsti tre impianti idrofori, uno a San Cataldo a San Giovanni (realizzato e tutt'ora visibile di cui non si conserva però la ciminiera) il secondo in località Li Caddhuzzi della Lamia, sul litorale di Frigole e il terzo, mai realizzato, a Torre Chianca.

L'impianto riceve l'acqua che si trova sotto il livello del mare mediante una rete di canali, la aspira con le sue pompe, la alza e la trasferisce nel mare. Ecco perché furono chiamati “Idrofore”, perché “portano” l'acqua al mare.

I lavori vengono appaltati nel gennaio del 1904. Allo stabile, che ospiterà le macchine ma anche le abitazioni degli operai e dei tecnici, provvederà l'impresa locale di Vito Reale mentre le idrofore alimentate a carbone saranno fornite dalla Società Veneta di Costruzioni Meccaniche di Treviso con un costo di 50.280,30 lire. Con qualche ritardo, dovuto anche alla malaria che contagiò i tecnici adibiti al montaggio, l'impianto Idroforo viene consegnato e messo in funzione il 2 dicembre 1905.

Il progetto prevede di prosciugare anche l'antico specchio d'acqua, ricco di pesce, della Guadina-Aquatina che non può essere svuotata direttamente nel mare attraverso canali per via del dislivello esistente. Quindi si realizza nella parte più bassa della depressione un grande collettore che raccoglie tutta l'acqua del bacino e la porta all'impianto idroforo. I metri cubi d'acqua da smaltire sono però un'enormità, considerato che la superficie del lago supera i 2 milioni di metri quadrati, e ciò si rivelerà il punto debole del progetto che, unito ad altre cause non previste, metterà in crisi l 'impianto idroforo e il buon funzionamento generale della bonifica stessa. Le macchine erano tenute in funzione 24 ore su 24, con grande dispendio di carbone, surriscaldamento e guasti ripetuti.

Sarà intorno al 1920 che l'Opera Nazionale Combattenti, diventata gestore dell'impianto e delle bonifiche, deciderà di rinunciare al prosciugamento di Acquatina (che viene trasformata in “Valle di Pesca”) e riservare l'impianto alle acque rivenienti dai 27 km di canali delle bonifiche. La ciminiera soffierà il suo fumo nero fino al 1933, quando l'impianto a carbone sarà sostituito da macchine a gasolio.

I locali e tutta l'area delle Idrofore sono oggi affidati in gestione al Consorzio delle Bonifica Centro-Sud Puglia. Sono stati di recente destinati in parte ad ospitare il ricovero per le tartarughe marine (la casa del custode) e in parte per accogliere la sede e l'esposizione dell'Ecomuseo delle Bonifiche di Frigole, dopo la ristrutturazione già finanziata dal Contratto Istituzionale di Sviluppo (CSI). Saremo lieti di accogliervi per farvi conoscere la storia delle bonifiche e il suo territorio.

Perché la patata zuccherina di Frigole è così speciale?

Con l'arrivo dell'autunno, i campi di Frigole si tingono di colori caldi e profumi intensi. È il momento della raccolta della patata zuccherina, un prodotto della nostra terra, coltivato con passione e maestria dai nostri agricoltori.

Dalle Americhe al Salento, un viaggio di sapori millenari

La patata zuccherina, o batata, ha origini antichissime. Coltivata fin dai tempi degli Inca, fu introdotta in Europa dai conquistadores spagnoli nel XVI secolo. Ben presto, questo prezioso alimento conquistò il palato degli europei, diffondendosi in diversi Paesi. In Italia, trovò terreno fertile soprattutto nelle zone più calde, come il Lazio, il Veneto e, naturalmente, il Salento. Fu nella seconda metà del XIX secolo che il Dott. Gaetano Stella, Segretario Perpetuo dell'Orto Botanico, presenta questo prezioso tubero nella provincia di Terra d'Otranto. A quei tempi, il Sig. Eufemio Fazzi, sotto consiglio della cattedra ambulante per l'agricoltura, iniziò a coltivarla nelle sue terre a Calimera, dando il via a una diffusione sempre più ampia in tutto il Salento meridionale. Albino Mannarini, nel suo prezioso studio sull'orticoltura salentina, classificò le varietà di batata in base al colore della polpa, individuando principalmente la batata gialla lunga e la batata bianca, ognuna con le sue peculiarità. La coltivazione della batata a Calimera divenne così fiorente da raggiungere, ancor prima della Grande Guerra, il primato tra le colture da orto primaverili-estive. Le due guerre mondiali contribuirono ulteriormente a diffondere la coltivazione di questa radice tuberosa in tutto il Salento, grazie alla sua capacità di fornire un alimento nutriente e versatile in periodi di scarsità.

A Frigole, un prodotto d'eccellenza

A Frigole, la patata zuccherina, un tempo considerato il "dolce dei poveri", è oggi un prodotto simbolo dell'identità locale. Il clima mite ei terreni fertili un tempo paludosi di questa zona hanno creato le condizioni ideali per la coltivazione di questo tubero, che qui raggiunge livelli di qualità eccelsi. La varietà coltivata a Frigole si distingue per la sua polpa dolce e cremosa, dal colore giallo intenso, e per la buccia sottile e liscia, che può variare dal rosso violaceo al marrone scuro. La raccolta, che si protrae da agosto a dicembre, permette di gustare diverse varietà, dalla classica gialla a quelle più recenti viola e arancione e grazie alla sua ottima conservabilità al buio, può essere apprezzata fino a sei mesi dopo.

Caratteristiche tecnologiche

La patata dolce si presenta come una pianta erbacea perenne, coltivata annualmente nelle nostre zone, caratterizzata da una notevole rusticità e adattabilità a diverse condizioni pedoclimatiche. Il suo apparato vegetativo è costituito da fusti striscianti e radicanti, che si sviluppano in modo vigoroso, coprendo interamente il terreno e formando una sorta di tappeto vegetale. Le foglie, di forma cuoriforme e di un intenso colore verde, contribuiscono alla fotosintesi e allo sviluppo dei tuberi. Quest'ultimi, il prodotto commercializzabile, si originano da ingrossamenti delle radici e presentano una forma irregolare, spesso allungata e contorta. La buccia, di colore rosso-ocra, protegge la polpa interna, di colore giallo intenso, ricca di amido e zuccheri. La pezzatura dei tuberi è variabile e dipende da numerosi fattori, tra cui la varietà coltivata, le condizioni pedoclimatiche e le pratiche colturali adottate. La coltivazione della patata dolce, anche su piccole superfici come gli orti familiari, richiede poche cure e consente di ottenere un prodotto sano e nutriente.

Un tesoro per la salute

Oltre ad essere deliziosa, la patata zuccherina è un vero e proprio toccasana per la salute. Ricca di amido, sali minerali come potassio, sodio, fosforo e calcio, e di vitamina C, D e A, è un alimento completo e nutriente. Particolarmente interessante è il suo elevato contenuto di carotenoidi, che le conferiscono la caratteristica colorazione arancione e che svolgono un'importante funzione antiossidante. Inoltre, grazie al suo basso indice glicemico, è adatto all'alimentazione dei diabetici e favorisce il controllo della glicemia. Per queste caratteristiche si ritiene sia un alimento ideale per lo svezzamento, che facilita l'introduzione dei primi cibi solidi, garantendo un apporto nutrizionale completo per la crescita del bambino.

In cucina, infinite possibilità

La versatilità della patata zuccherina la rende un ingrediente ideale per preparare una grande varietà di piatti. Può essere consumata al forno, bollita, fritta o al vapore. È perfetta per accompagnare secondi di carne o pesce, ma si presta anche alla preparazione di contorni sfiziosi e di dolci golosi. La patata zuccherina di Frigole è un alimento che unisce tradizione e innovazione. Da un lato, è protagonista di ricette antiche e tramandate di generazione in generazione, dall'altro, ispira chef e appassionati di cucina a creare nuove e originali preparazioni. Se hai la fortuna di trovarti in Salento nel periodo della raccolta, non perdere l'occasione di assaggiare la patata zuccherina di Frigole. Potrai gustarla alla Mostra della patata zuccherina di Frigole, nei ristoranti locali o acquistarla direttamente dai produttori.

Giglio di mare

Giglio di mare

Sotto il sole cocente dell'estate pugliese, tra le dune dorate battute dal vento, il giglio di mare si afferma con tenacia, simbolo di vita che resiste alle avversità. Per ammirarne la bellezza, basta oltrepassare il porticciolo di Frigole e seguire la bella spiaggia libera per poche centinaia di metri. Si arriva così nei pressi del bacino di Acquatina, una zona umida lagunare artificiale estesa per circa 100 ettari con dune e macchia mediterranea, che attraverso due canali comunica con il mare. È proprio qui, in un ambiente tanto ostile quanto affascinante, che questa pianta scientificamente conosciuta come Pancratium maritimum ha trovato il suo habitat ideale.

Il suo nome, Pancratium , deriva dal greco e significa "onnipotente". Un nome che evoca immagini di forza e resistenza, qualità che questa pianta dimostra quotidianamente, sfidando le avversità dell'ambiente costiero. Il termine maritimum , invece, ci ricorda il suo legame indissolubile con il mare, un elemento che ha plasmato la sua storia e la sua bellezza. E proprio intorno al mare, fonte di vita e di ispirazione per gli antichi, si intrecciano leggende che attribuiscono origini divine a questa pianta così straordinaria.

Una delle più famose narra che il giglio di mare sia nato dal latte di Hera, la regina degli dei, schizzato via mentre allattava il piccolo Eracle. Si dice che alcune gocce di questo latte divino, cadute sulla sabbia, hanno dato origine a questi splendidi fiori bianchi. Mentre altre, schizzando in cielo, generarono la Via Lattea.

Il giglio di mare non è un giglio nel senso tradizionale, ma una pianta bulbosa perenne appartiene alla famiglia delle Amaryllidaceae. Il suo nome comune deriva dalla forma dei suoi grandi fiori bianchi, dalla caratteristica forma stellata. Ogni fiore, con i suoi sei tepali lunghi e stretti, si apre di notte, emanando un profumo intenso che attira gli insetti notturni, i suoi preziosi impollinatori. Per sopravvivere in un ambiente così esposto agli agenti atmosferici, il giglio di mare ha sviluppato straordinarie capacità di adattamento. Le sue foglie, carnose e nastriformi, si attorcigliano su se stesse per ridurre la traspirazione e limitare la perdita d'acqua. Il bulbo, nascosto sotto la sabbia, funge da riserva idrica e nutrimento, consentendo alla pianta di superare i periodi di siccità.

Il ciclo vitale del giglio di mare è strettamente legato al ritmo delle stagioni e alle maree. In estate, la pianta produce i suoi splendidi fiori bianchi, mentre in autunno i semi maturano all'interno di capsule carnose. Questi semi, dotati di una porzione spugnosa che ne favorisce il galleggiamento, vengono dispersi dalle correnti marine ( idrocoria ), dando origine a nuove piante. Il giglio di mare, sentinella delle dune sabbiose, contribuisce alla loro formazione e stabilizzazione. La sua elevata sensibilità ai disturbi ambientali lo rende un prezioso indicatore dello stato di conservazione di questo habitat. Minacciata dallo sfruttamento costiero, questa pianta è tutelata in diverse regioni italiane e la sua presenza a Frigole, malgrado la pressione antropica che interessa il lungomare Mori, è un segnale incoraggiante per la conservazione di questi ecosistemi fragili. Osservare questa meraviglia della natura è un privilegio, ma anche una responsabilità. Sotto la volta celeste del litorale leccese, il giglio di mare, testimone silenzioso del tempo, continua a fiorire, un inno alla vita che si rinnova in ogni tenuta. Un miracolo della natura, un gioiello che la sabbia custodisce gelosamente. Ammiriamone la bellezza, rispettiamone la fragilità e proteggiamone l'habitat, perché la sua presenza è un dono prezioso da tramandare alle generazioni future.

L'alto camino delle Idrofore di Frigole

Un viaggio nel cuore delle bonifiche: Pillole di Cultura dell'Ecomuseo di Frigole

Frigole: un territorio, una storia, un paesaggio e un ambiente naturale unico

Frigole, Borgo Piave e tutto l'ampio territorio delle bonifiche è un ecomuseo vivente, come lo ha defiito il museologo Henri Rivière, un luogo dove storia, natura e cultura si intrecciano in un racconto unico, dove ogni aspetto della vita quotidiana è stato influenzato dalla grande trasformazione conseguente alle quattro campagne di bonifica dei due secoli passati. Ogni pietra, ogni canale, ogni strada racconta una storia, un'eredità che le comunità locali hanno custodito nel tempo. L'Ecomuseo delle Bonifiche di Frigole, fedele alla definizione di Rivière, si dedica a studiare, conservare e valorizzare la memoria collettiva di questo territorio, coinvolgendo attivamente la comunità locale in un percorso di valorizzazione e promozione del patrimonio culturale e paesaggistico. A questo scopo dal prossimo 29 agosto, settimanalmente, pubblicheremo sui social e sul sito dell'Ecomuseo una nuova rubrica: Le Pillole di Cultura.

Pillole di Cultura: brevi racconti di un territorio

Ogni settimana, una nuova "pillola" svelerà un aspetto unico delle bonifiche:

  • Storie di vita: Testimonianze di chi ha vissuto sulla propria pelle la trasformazione del territorio.
  • Patrimonio paesaggistico e architettonico: Masserie, canali, strade, monumenti di archeologia industriale: un patrimonio che racconta l'ingegno e la maestria degli uomini che hanno costruito questo paesaggio.
  • Biodiversità: Un'esplosione di vita, dalla flora spontanea alla fauna selvatica, alla scoperta della ricchezza biologica delle bonifiche.
  • Tradizioni e sapori: Dai piatti della tradizione contadina ai riti legati ai cicli agricoli, un viaggio alla scoperta delle usanze che hanno caratterizzato la vita delle comunità locali.
  • Agricoltura e campi coltivati: una riserva di produzione locale che arricchisce il paesaggio e l'ambiente.

Perché leggere le Pillole di Cultura?

Per conoscere un territorio unico: dove coesistono campi coltivati, macchia mediterranea ei segni delle trasformazioni, non sempre felici, lavorano dall'uomo.

Per riscoprire le proprie radici o per comprendere meglio il mondo che ci circonda: Le Pillole di Cultura ci mostrano come la storia di un luogo sia, in fondo, la storia di tutti.

Per stimolare la curiosità: Ogni Pillola sarà un invito ad approfondire la conoscenza di un argomento specifico, a fare ricerche, a confrontarsi con gli altri.

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